mercoledì 26 gennaio 2011

Il babà è una cosa seria 1


Dopo la cucina esotica e quella sperimentale, ritorniamo a qualcosa di più vicino alla tradizione, parliamo del babà. Già il nome ispira cose morbide e profumate: “si nu babbà”è una tipica espressione delle mie parti che sta ad indicare che la persona a cui la rivolgiamo ci ispira dolci pensieri o è particolarmente amabile. Un'altra accezione, forse un po' materialista ma correntemente in uso nella mia amena vallata, è “fare i babbà” , che indica la capacità più o meno spiccata di essere produttivi, quindi fare i babbà è, come dire, fare soldi e uno coi babbà è, come dire, un buon partito.
Non a caso, per  un malinteso, i pasticcieri rappresentano il sogno proibito di tante donzelle senza dote. Quindi, se dal vostro pasticciere c'è una lunga fila di spasimanti e voi non avete voglia di attendere il vostro turno per affondare i denti sul babà, vi racconto la mia ricetta. Se invece, i denti siete intenzionati ad affondarli sul pasticciere, mettetevi in fila che uno con tanti babà è una preda ambita. Per i più sobri tra voi, veniamo alla ricetta. Cosa ci serve? (dosi per un babà smisurato)

-1 kg circa di farina manitoba
-1 cubetto di lievito
-mezzo bicchiere d'acqua
-1 cucchiaino di malto d'orzo (barbatrucco non-più-segreto)
-8 uova
- 80 g di zucchero
-140 g di burro o margarina 
-sale, un bel pizzico
-pazienza, una bella carriola



Iniziamo col convincere il lievito  a comportarsi in maniera egregia: scioglietelo nell’acqua assieme al malto d’orzo e 2-3 cucchiai di farina, fino ad ottenere un impasto semiliquido che lascerete riposare una decina di minuti, il tempo di vederlo aumentare un po’ di volume, nel frattempo pesate gli altri ingredienti. Ora, se avete un’impastatrice o una macchina del pane lanciate tutto dentro, compreso l’impasto lievitato, prima gli ingredienti liquidi e in ultimo la farina. Iniziate con 700 g di farina e valutate la consistenza, aggiungetene altra gradualmente, fino ad ottenere un impasto che si stacchi bene dalle pareti (o dalle mani in caso stiate impastando a bicipiti, se poi i bicipiti sono quelli di un aitante collaboratore, sappiate che il babà, con i suoi tempi di lievitazione, vi concederà tutto il tempo di fare un altro buon uso di quei muscoli). Comunque sia, io, sprovvista di un collaboratore fosse anche scadente,  utilizzo la macchina del pane, programma “impasta e lievita” , un’ora e mezza, in definitiva dovete attendere che la vostra palla di pasta raddoppi di volume. A questo punto imburrate e infarinate uno stampo per babà da 30 fette e adagiatevi l’impasto, facendo in modo che sia distribuito più o meno uniformemente se non volete un babà che pende. Per la seconda lievitazione, vi aspetta un’altra pausa che sono certa impiegherete nel migliore dei modi. La lunghezza di questa pausa dipende dalla temperatura ambiente, infatti se in estate il babà impiega circa mezz’ora a raddoppiare nuovamente di volume, nei giorni della merla siamo sulle due ore, due ore e mezza. Regolatevi col buon senso. 


Ok, è raddoppiato? Quindi  è l’ora di infornare, in forno già caldo, a 180° per circa 25 minuti, o fino a quando il “fondo” del babà è un po’ più che dorato. E ora, amici, sfornate, sformate e ammirate! Soddisfatti, vero?! Chiedete un bacio-premio al vostro bell’aiutante ma mandate anche una benedizione  all’autrice di questo blog, così stanca dopo questa lunga ricetta che della bagna che serve a completare l’opera ve ne parlerà nel  prossimo post e che ora va a cercarsi un aiutante per riprendersi dalla fatica… Vi abbraccio, amici lettori!

venerdì 14 gennaio 2011

Hummus a occhio…




Qualche anno fa, durante un viaggio in Giordania, mi venne proposto un corso di cucina locale e io, come è facile  immaginare, mi ci sono precipitata a razzo. Bene, un corso destinato a turisti di ogni nazionalità, dovrebbe tenersi quanto meno in inglese, non vi pare? E invece no, vista la prevalenza di tedeschi, il corso si teneva nell’aspra parlata teutonica. Considerata la mia scarsa dimestichezza con l’idioma in questione era come guardare un film muto. Comunque sia, qualcosa ho appreso, nonostante il tedesco, e nonostante lo chef fosse  più interessato alle grazie giunoniche delle germaniche figliole che all’evoluzione spiritual-culinaria delle sue alunne. Specialmente di quelle sprovviste di grazie giunoniche. E infatti, mi fece capire che, per cominciare, dovevo mettermi da parte e pelare delle patate che sarebbero servite in seguito… Seeeeee,  con un gesto eloquente quanto volgare, gli spiegai che le patate le poteva anche pelare sua sorella. Infatti avevo adocchiato, su un banco adiacente, qualcosa di molto più interessante…ceci, la mia passione! Incurante delle proteste dello chef mi misi ad osservare come preparare l’hummus, la salsa di ceci e sesamo che, nei paesi arabi, rappresenta il più tipico degli antipasti e viene in genere accompagnato col pane, quel pane sottile e poco lievitato, ma profumato e invitante, che noi chiamiamo pane arabo... ma che in loco chiamano pane e basta! Siccome adoro questa ricetta, e mi riempie di orgoglio sia come cuoca che come nutrizionista, voglio condividerla con voi. Cosa ci serve per fare l’hummus o qualcosa che gli somigli?

-Ceci, diciamo 150 g secchi
-Tahin,  diciamo 2 cucchiai
-aglio
-limone
-peperoncino in polvere
-prezzemolo
-sale
Il tahin è il burro di sesamo, si trova nei negozi di prodotti biologici.


…non vi garantisco che gli ingredienti della versione originale fossero solo questi, ma, essendo  un hummus a occhio, accontentatevi! Bene, la preparazione è facile facile, alla fine non faremo altro che un gran pappone dei succitati ingredienti, ma andiamo per gradi. Trattandosi di legumi, come sempre, ricordatevi la sera prima di metterli a bagno. Per la cottura, in media, 45 minuti con pentola a pressione e un'ora e mezza senza. Fate attenzione, alcune varietà di ceci devono cuocere meno, comunque sia, fidatevi dell’istinto… guardate in faccia il cece e cercate di sondarne le intenzioni…ti spappolerai?? Rispondimi! Fai il prezioso? Ah, si… e io ti cuocio in pentola normale e quando mi garba la consistenza spengo il gas! Bene, ora che abbiamo domato il cece, proseguiamo… Spremete il limone in una ciotola e aggiungete l’aglio a pezzettini piccoli piccoli, il prezzemolo e una bella presa di sale. Lasciate riposare, e già che ci siete, riposate un po’ anche voi… Quando i vostri ceci saranno cotti, scolateli e lasciateli intepidire, nel frattempo armatevi di passaverdura. Niente frullatore a immersione che la buccia dei ceci non si addice a questa ricetta! Passate i ceci al passaverdura. Unite al passato di ceci il succo di limone filtrato e il tahin e mescolate bene, dovete ottenere una consistenza pastosa e spalmabile…Fatto? OK, a questo punto date una forma e spolverate di peperoncino e prezzemolo. Il vostro hummus o simil-hummus è pronto, e, quale che sia la ricetta originale, fatto così ha un buon sapore. Benché non sia molto ortodosso assaggiatelo col prosciutto cotto, secondo me è perfetto! Vi abbraccio e vado a farmi un panino…

P.S.: un'altra ricetta che ho in qualche modo rubato al succitato chef, è quella del babaganoush, che già solo per il nome meriterebbe un post a se... e infatti appena ci saranno delle melanzane degne di questo nome, glielo dedicherò.

mercoledì 12 gennaio 2011

Oltre le apparenze

Come ho già detto, quest’anno la Befana è stata generosa con me… La mia calza di prodotti biologici era veramente sostanziosa… Anzi, era tutta sostanza: una zucca un po’ storta e sbilenca ma dolcissima e burrosa, delle mele un po’ bitorzolute ma croccanti e profumate ,  biscotti che, in apparenza, sembravano fatti di segatura ma dopo il primo morso avevano un profumo di nocciole che manco la nutella… Insomma… la sostanza sta oltre la scorza, che peccato che spesso ce ne dimentichiamo, e finiamo ingannati da noi stessi. Quante cose ci perdiamo per essere vittime delle apparenze. Di preciso non so perché sto scrivendo questo post, forse perché mi sento in dovere di essere una blogger produttiva e di sparare almeno una cavolata al giorno, o forse perché a volte capita di incontrare persone con le quali vai direttamente al di là della scorza e ti ispirano questo tipo di pensieri… Ora vi racconto una cosa, cari lettori...ma che resti tra noi J!  Oggi dopo il lavoro sono tornata a casa in uno stato d’ animo tra l’avvilito e l’incavolato e pensavo che mi sarei ripresa solo facendo un pan brioche di dimensioni oceaniche, di quelli che il lievito fa il suo dovere per benino! Ma avevo finito la Manitoba e senza quella è blasfemo fare il pan brioche. Niente da fare, pan brioche scartato! E mo’ come mi riprendo? Proprio quando sembrava che dovessi andare a dormire con la luna storta, inatteso e gradito l’invito di un amico è stato una vera terapia per lo spirito…un’oretta di chiacchiere leggere, una risata spontanea di quelle che non ci pensi, ridi e basta. Tutto qui. Tutto oltre le apparenze. La luna, da storta che era, è ritornata al suo posto e io sono ritornata a casa rasserenata. E questo è quanto, miei cari.  Vi auguro la buona notte con un proverbio che mi sono appena inventata: J “Un amico è meglio di un pacco di Manitoba ma è bene non farsi mai mancare né l’uno né l’altro”. Un abbraccio, amici lettori.

lunedì 10 gennaio 2011

Metti assieme l’Asia, il Sud America e Positano: lenticchie al curry con quinoa

La Befana quest’anno è stata generosa con me, si vede che ho fatto la brava, e infatti,  la mia calza era tutta piena di cibi biologici: legumi, cereali, crostatine di farro, una zucca e perfino una bottiglia di cedrata… E dalla calza è sbucato pure un sacchetto di quinoa, uno dei miei amati cereali antichi (poi ne parliamo… vi piacciono? A me si, tanto!). Nonostante il titolo del post, questo piatto non si può definire esotico, ma piuttosto sperimentale, perchè me lo sono inventato di sana pianta; e siccome il risultato m’è piaciuto, eccomi qui a raccontarvelo. Come per gli altri legumi, anche per le lenticchie pensateci per tempo… l’ammollo è troppo importante per bypassarlo e mica vogliamo usare le scatolette?!      Quindi, dopo una notte di       am-mollo, e perché no anche di am-ore, le lenticchie sono pronte per andare incontro al loro destino: finire in una pentola a pressione con acqua (q.b.), sale, aglio a pezzettini piccoli piccoli, qualche pomodorino e un filo d’olio. La cottura è di circa un’ora in pentola a pressione e circa il doppio nella pentola normale. In caso la succitata notte non sia stata lunga abbastanza, concedetevi un bis nel frattempo, ma tornate ai fornelli in tempo utile se non volete rischiare che la deflagrazione della pentola a pressione interrompa bruscamente le vostre attività. Bene, ora che le lenticchie sono cotte e voi felici, passiamo alla fase successiva. Lavate bene la quantità di quinoa che vi serve, due-tre cucchiai a testa. Nel caso abbiate l’impressione che le lenticchie nuotino in troppa acqua, scolatene via un po’, aggiungete la quinoa alle lenticchie e fate cuocere, girando di tanto in tanto, in modo che l’acqua evapori in circa 15 minuti che è il tempo di cottura della quinoa. Verso la fine, spolverate col curry, non siate timidi, un po’ di più… un altro po’…ok!  A questo punto avreste dovuto ottenere una sorta di risotto, un quinotto per l’esattezza… se la consistenza rimane brodosa fate cuocere ancora un po’, tanto la quinoa ben cotta è buona lo stesso e le lenticchie sono dure a scuocere! Impiattate e spolverate di  prezzemolo fresco e peperoncino sbriciolato… quello che vedete nella foto è cresciuto al sole di Positano, un’amica me ne ha regalata un’intera collana, grazie cara!


Ora però concedetemi un minuto di quasi-professionalità: dal punto di vista nutrizionale questa ricetta è ricca di proteine di buona qualità, quindi la si può indubbiamente considerare un secondo piatto, o meglio, un piatto unico se accompagnato da qualche crostino di pane: il mio pasto di oggi, per l’esattezza assieme ad un bicchiere di vino toscano… Prosit, soprattutto a voi cari lettori!

La fata Pectina -atto secondo: che ci faccio con tutta ‘sta cotognata?

Avevamo lasciato la nostra cotognata ad asciugare, l’abbiamo contemplata per 2-3 giorni e quindi il processo di indurimento dovrebbe essere completo. Sformatela pure e restate qualche minuto ammirati di voi… a questo punto tagliatene una strisciolina e assaggiatela, ve lo meritate. Buona, vero?! Se contate di sbafarla tutta voi (non fatelo!), ricavatene dei rettangoli che, una volta chiusi singolarmente nella carta da forno, riporrete in frigo; in questo modo la cotognata si conserverà a lungo. Se invece, come spero, una parte sarà utilizzata per fare felice qualche amico o per addolcire qualche nemico,  munitevi di un tagliapasta, ritagliate delle belle cotognatine, che, volendo, potete spolverare di zucchero, impacchettatele nel cellophane per alimenti (che siano visibili in tutto il loro splendore), e regalatele con amore, così diventano ancora più buone…
Un abbraccio.



sabato 8 gennaio 2011

Ricetta della (mia) felicità

... Un'ora e mezza di tai chi chuan e poi infornare uno smisurato babbà e osservare come il lievito faccia il suo dovere... Poi del babbà ne parliamo, vi rivelo qualche barbatrucco. E parliamo anche del tai chi chuan, se vi va. Buona notte e tante benedizioni a voi lettori e a chi ha inventato il malto d'orzo...

venerdì 7 gennaio 2011

La fata Pectina - atto primo: la cotognata

 

Fatemi spendere due paroline sui frutti che sono alla base di questa marmellata semi-solida, che a me ricorda tanto certe merende della mia infanzia. La mela cotogna è uno dei frutti più antichi coltivati dall’uomo, infatti, nella storia vi sono tracce del suo utilizzo ben 4000 anni fa presso i Babilonesi. Nella Grecia antica era considerata un frutto sacro a Venere, e, dopo aver fatto provare la cotognata al mio fidanzato, non ho avuto più dubbi sul perché. I frutti sono di un bel colore giallino e hanno una forma asimmetrica e irregolare, una consistenza legnosa e un profumo gradevole... Il sapore?! Non vi consiglio di assaggiarle crude! E’ una coltura pressoché abbandonata in Italia, e quindi è un prodotto piuttosto raro. In passato, invece, la cotogna era molto utilizzata, sia in cucina che in erboristeria, in passato appunto… oggi invece, trovare le mele cotogne, è un’impresa non da poco. Quindi, la prima cosa da fare, nonché la più complicata, è procurarsi la materia prima. Il periodo ideale sarebbe ottobre-novembre, ma io ne ho trovate anche di più tardive. Potete rivolgervi a qualche contadino che forse ancora ne conserva una pianta, o, più semplicemente ad un negozio di alimenti biologici che le reperisca per voi. Se poi siete così avanti da avere un orto tutto vostro…vi invidio da morire!!! Passiamo alla ricetta… cosa ci serve per fare la cotognata?

-Ovviamente… Mele cotogne, diciamo 7-8 frutti (circa 2 kg)

-Zucchero… la quantità è leggermente variabile ma è circa 1,5 kg 
-Acqua
-2 limoni della Costiera Amalfitana…
(perché quelli dell' Esselunga non vanno bene? Si, vanno bene, ma vuoi mettere?!?!?)


Iniziate lavando molto bene le cotogne, che sulla scorza possono presentare una peluria che va rimossa accuratamente, eventualmente stanziate 50 centesimi per l’acquisto di uno spazzolino da unghie che utilizzerete per pulire la frutta. Fatto? Ok, adesso lavatele di nuovo e vi stupirete di quanta peluria non avevate rimosso alla prima passata. Bene, ora le vostre cotogne sono lucide, splendenti e pronte a fare il loro dovere. Preparate una ciotola capiente con acqua e il succo di un limone, quindi, senza sbucciare le cotogne, privatele del picciolo, dei semi e di eventuali parti scure, fatele a cubetti e tuffatele immediatamente nell’acqua acidulata, siate rapidi, si ossidano in fretta! Quando avrete terminato, vista la consistenza legnosa dei frutti in questione, le mani vi faranno un po’male… lamentatevi e fatevi fare un massaggino, mi raccomando! A questo punto munitevi di un pentolone con un fondo bello spesso. Trasferite nella pentola i cubetti di cotogna che nel frattempo avrete scolato, ricopriteli di acqua fin dove arrivano e aggiungete il succo, filtrato stavolta, dell’altro limone. Fate cuocere circa 20 minuti, dovete ottenere dei cubetti la cui consistenza ricorda quella di una patata lessa ma non sfatta. Spegnete il fuoco e, dopo aver tolto uno-due mestoli dell'acqua di cottura, con un frullatore a immersione, riducete il tutto in  crema… (Se non vi garba l'idea di includere le bucce, utilizzate un passaverdura). Adesso che la vostra pentola somiglia al vasetto di omogeneizzato di Polifemo, lasciate raffreddare un po’ per poi passare alla fase successiva. Pesate quindi il frullatone (o il passatone) e aggiungete 700 g di zucchero per ogni kg, mescolate bene e rimettete sul fuoco.



Con la cottura, comincerà a verificarsi la meraviglia cromatica della cotognata, che, passando per il rosa cipria approderà ad un rosa antico che vi riempirà di orgoglio culinario (io, stavolta ho usato troppo poco limone e sono approdata ad un rosso quasi pompeiano). Sempre nella fase di cottura, si realizzerà la magia della fata Pectina, infatti, le mele cotogne sono ricchissime di questa sostanza che agisce da gelificante e che conferisce alla cotognata la sua caratteristica consistenza. Delle virtù salutistiche della pectina ne parliamo un’altra volta… Ora pensiamo alla pentola che abbiamo lasciato sul fuoco… se no… s’azzecc’ tutt’ cos’! (traduzione cavese-italiano: se vi distraete troppo, il prodotto delle vostre fatiche potrebbe attaccare alle pareti della pentola, rendendo vani i vostri sforzi e il vostro impegno). Fate cuocere a fuoco medio-basso per circa 2 ore, mescolando quanto basta per prevenire la catastrofe che abbiamo testè descritto… Tra una mescolata e l’altra, foderate degli stampi con carta da forno. Fate una prova spalmando un po’ di quasi-cotognata su un piattino, e se, una volta raffreddata, la consistenza è più o meno gelatinosa, vuol dire che ci siamo! Ora, con un mestolo e molta attenzione riempite gli stampi con la marmellata che avete ottenuto, per un’altezza di un dito-un dito e mezzo. Evitate di riempirli troppo, altrimenti ci vorrà un’era geologica prima che passi allo stato semi solido.

Cominciate pure a sentirvi soddisfatti… ma non troppo, perchè la strada che conduce al vizio e alla perdizione è ancora lunga… prima che i vostri sensi si possano perdere tra le braccia della cotognata, dovrete infatti attendere qualche giorno… (Continua nel prossimo post)

P.S.: La foto della Costiera è stata scattata da Cava de' Tirreni (Monte Avvocata, a cavallo tra Cava e Maiori) e, anche se non ha bisogno di ulteriori commenti, mi viene da dire: Grazie a chi mi ha fatto nascere qua!



lunedì 3 gennaio 2011

Fagioli e zucca

Non esiterei a definire questa ricetta un esperimento riuscito… le foto, invece, sono un po’ meno riuscite, ma fortunatamente, le foto, non si mangiano! Comunque,  dopo aver postato la ricetta delle zeppole cotte, la mia coscienza di nutrizionista mi imponeva di passare a qualcosa di più sano, di non fritto e non dolce. Vi racconto quindi  fagioli e zucca così come li ho preparati qualche giorno fa. Accompagnati da qualche crostino di pane, sono un ottimo piatto unico, ricco di fibre e che non ha bisogno di scomodare proteine animali e grassi saturi per essere completo. (Scusatemi ma ora sono posseduta dallo spirito molesto della nutrizionista…)

Cosa ci serve?
-Fagioli borlotti secchi
-Zucca Violina
-Cipolla
-Olio extravergine di oliva (poco e buono, mi raccomando)
-sale e pepe
QUANTITA’: dipende dal numero di commensali, quindi, andate a occhio!
QUALITA’: non guasterebbe se il tutto provenisse da agricoltura biologica.

In caso decidiate di provare questa ricetta pensateci la sera prima, così da poter mettere a bagno i fagioli in tempo utile, più o meno una notte. Dopo l’ammollo cuocete i fagioli in acqua con un pizzico di sale; se disponete di una pentola a pressione, usatela, i legumi vengono meglio! (Disclaimer: se scoppia io non c’entro, e per aprirla seguite tutta la procedura di sicurezza, ok?!). I tempi di cottura sono di circa un’ora con la pentola a pressione e circa due ore senza la suddetta. Quindi, allietati dal sibilo della pentola a pressione o dal sobbollire della pentola normale, passate alla zucca Violina, decapitatela senza alcuna pietà, prendetene quello che vi serve e riponete il resto in frigo. Sbucciatela e riducetela a tocchetti non troppo piccoli. La Violina è la mia zucca preferita perché, oltre ad essere profumata, è molto compatta e non ha la tendenza a sfasciarsi durante la cottura, ha una bella consistenza burrosa quando la si addenta, e nei piatti si ritrova sempre la zucca e non la pappina di zucca. Tra l’altro, in un pomeriggio uggioso, ci ho ricavato anche un’ottima confettura, ma questa è un’altra storia. Dopo questa sViolinata, andiamo avanti. In un tegame fate imbiondire la cipolla nell’olio, decidete voi quanta usarne, dipende dal vostro gusto e dalla vostra propensione alle relazioni interpersonali. Aggiungete i tocchetti di zucca, il sale e un po’ d’acqua. Lasciate cuocere 5-7 minuti e spegnete, a questo punto la zucca è pronta e i fagioli no,  aspettate che cuociano, ma impegnate il tempo in modo costruttivo, per esempio, mettetevi a leggere un bel libro sorseggiando una tazza di thè, mentre il gatto vi si accoccola sulle gambe oppure telefonate ad un’amica (attenzione anche i fagioli scuociono, quindi, ad un certo punto, riattaccate), meditate sull’infinito… sull’infinito budget che ci vorrebbe per comprare tutte le borsette e le scarpe che desiderate… insomma fate quel che più vi aggrada ma non fatevi prendere la mano e spegnete il fuoco quando i fagioli saranno cotti! Se vi danno l‘impressione di nuotare in troppa acqua, scolatene via un po’, schiacciate una parte dei fagioli con la forchetta (passateli al passaverdura se volete fare una cosa chic) per dare al tutto una consistenza più cremosa. Non vi resta che miscelare il contenuto delle due pentole, far cuocere qualche minuto tutto assieme e aggiustare di sale e pepe (non esagerate!). Servite accompagnato da crostini di pane sui quali avrete spolverato del rosmarino in polvere, risparmiatevi l’olio o il burro! Mangiate pure senza troppi rimorsi questa rustica pietanza, è buona, sana, completa e ricca di fibre. A presto, vi abbraccio, con la coscienza a posto!

sabato 1 gennaio 2011

Festive cose: le zeppole cotte

Che questa prima ricetta dell'anno, e del blog, sia di buon augurio, e che il vostro anno nuovo sia saporito, colorato e ricco come questo dolce. Il copyright spetta alla mia bella nonna, Mafalda, che mi ha insegnato quasi tutto quello che so di cucina... e di senso pratico (grazie nonna, sei insostituibile!). Le zeppole cotte sono un dolce tipico della mia (bellissima) città Cava de' Tirreni, sono dolci molto elaborati e di norma si preparano una volta all'anno, nel periodo delle feste. Le zeppole cotte richiedono anche una certa dose di forza fisica (procuratevi un aiutante...magari un aitante-aiutante), perchè l'impasto, nella fase di cottura assume una consistenza... come dire? Ostile alla cucchiarella! (Non la chiamerò mai cucchiaio di legno, sappiatelo!). E infatti l'ultima volta di cucchiarelle ne ho rotte tre, ma ne è valsa la pena!
Cosa ci serve per fare le zeppole cotte?
Impasto:
-3 tazze di Acqua San Rubinetto
-una bella presa di sale
-3 tazze di farina 00
-125 g di burro o margarina
(meglio il burro, la margarina subisce troppi processi industriali prima di diventare cibo!)
-5 uova
-olio per friggere
(utilizzate quello di arachidi... la frittura non è mai sana ma l'olio di arachidi si danneggia meno in cottura)

Far bollire l'acqua con il sale in una pentola capiente, a questo punto fare appello all'aiutante e iniziare a versare lentamente la farina  nell'acqua in ebollizione, mescolando sempre con la cucchiarella. Man mano che si addensa mescolare con più forza e costringere l'aiutante a mantenere ferma la pentola mentre mescolate, chiedetegli scusa per eventuali ustioni e proseguite nell'impresa. Ritenetevi soddisfatti quando avrete ottenuto un impasto liscio, senza grumi e che si stacchi dalle pareti della pentola (è importante che non ci siano grumi, altrimenti durante la frittura vi sembrerà di stare in un film western...). Spegnete il fuoco e tirate un sospiro... il peggio è passato. Congedate pure l'aiutante e aggiungete il burro alla pasta cotta mescolando bene, a questo punto aggiungete le uova una ad una avendo cura di amalgamare mooolto bene il tutto.  Versate l'impasto su un piano leggermente unto e leggermente ungete anche le vostre manine (ben lavate, lo diamo per inteso) appena la temperatura lo consente, continuate a lavorare l' impasto per renderlo il più possibile omogeneo. L'impasto deve avere una consistenza semi-cremosa e quindi è necessario avere le mani un po' unte per formare dei salsicciotti con una sezione di circa 7mm-1cm di diametro (quest'impasto cresce pochissimo in cottura) e dare la classica forma a zeppola (c'è chi gli da anche la forma di un fiocco ma io sono del parere che la zeppola è zeppola e va rispettata!). L'operazione non sarà breve, ma quando avrete terminato sarà una soddisfazione osservare la distesa di zeppole che avrete prodotto. A questo punto è il  momento di friggere, fate scaldare l'olio e provate ad immergere una zeppola, se fa le bollicine la temperatura è giusta... E' meglio friggere poche zeppole alla volta, per evitare che si attacchino l'una all'altra e per evitare che si abbassi troppo la temperatura del'olio. Cuocete fino a che siano ben dorate rigirandole un po' affinchè la cottura sia omogenea, e, una volta cotte, sollevatele dall'olio e poggiatele su carta assorbente. Quando avrete cotto tutte le zeppole forse vi sentirete un po' stanchi, bene, sappiate che siete solo a metà dell' opera, quindi, preparatevi una bella tazza di thè, bevetela con calma e poi riprendete i lavori!

Cosa ci serve adesso?

2 cucchiai di acqua
3 cucchiai di zucchero
Miele ad libitum, ma abbondantum (io utilizzo metà millefiori e metà castagno) 

Sciogliete lo zucchero con l'acqua in una padella di medie dimensioni, aggiungete il miele allo sciroppo e fatelo scaldare ma non troppo (fa anche la rima!). A questo punto tuffate le zeppole una ad una in questo mare di perdizione e sollevatele facendo attenzione a non romperle, riponetele nel piatto da portata, resistete alla tentazione di mangiarle così e andate avanti fino all'ultima zeppola. A questo punto cospargete il tutto di diavolini colorati, corallini di zucchero e cannellini. Bene, adesso vi sentirete dei reduci... ma... mangiatene una ancora calda e ditemi se non ne è valsa la pena.  Fate attenzione, danno dipendenza!

Perchè natura e cibo?

Cari voi tutti che avrete la pazienza di leggermi,
prima di tutto benvenuti. Questo vorrebbe essere un blog di cucina, di cucina naturale per l'esattezza, ma per il momento, lo vedete, non è che un'aspirazione al suddetto! 
Cosa intendo io per cucina naturale... verdurine scondite scolorite e indefinite?!?! Noooooooo! Per me cucinare naturale significa trasformare il potenziale di "Sora Nostra Madre Terra" in cose buone da mangiare, belle da vedere e profumate da annusare. Se poi sono anche sane tanto meglio, ma temo che, specialmente i miei dolci, possano rientrare in una sana dieta, solo in dosi omeopatiche... Siate morigerati! Vi abbraccio con molto affetto perchè avete letto tutta l'introduzione ... e passiamo alla prima ricetta!